Alcuni sostengono che il successo dei bitcoin derivi dal mistero riguardante quello che è considerato il loro inventore: Satoshi Nakamoto, ormai considerato la figura mitologica per eccellenza nel mondo delle criptovalute.
Tra infinite teorie riguardanti la sua identità e misteriose ricerche derivanti da ritrovamenti su forum online del 1999, si stima che il tesoro perduto di Nakamoto si aggiri intorno ai 7 miliardi di euro (1 milione di bitcoin).
Molto probabilmente Satoshi doveva far parte – oppure essere direttamente il nome de plume del gruppo – del Cypherpunk: un insieme di attivisti libertari che verso l’inizio degli anni ‘90 avevano come obiettivo tutelare e migliorare la privacy di ciascun individuo attraverso l’utilizzo della crittografia.
«Noi Cypherpunks siamo attivi nella costruzione di sistemi informatici anonimi grazie all’impiego della crittografia, affinché lo scambio di informazioni e di denaro resti riservato. Noi scriviamo i codici software e li divulghiamo gratuitamente affinché siano disponibili ed adottati dal maggior numero di persone»
Eric Hughes (1993)
Il dominio bitcoin.xxx è stato registrato nell’agosto 2008 e nel 2009 è uscito il White Paper: il manifesto dei bitcoin.
In quello che è il primo blocco, la prima transazione da 50 bitcoin effettuata da Nakamoto, il Genesis block, c’è un messaggio in codice che fa riferimento al titolo di un articolo del Times del 3 gennaio 2009 che ipotizza un secondo salvataggio delle banche:
“The Times 03/Jan/2009 Chancellor on brink of second bailout for banks.”
I bitcoin nascono nella più grande crisi finanziaria dopo quella del 1929 mettendo in discussione il sistema tradizionale e lo fanno con furore, dando un messaggio di speranza per tutta l’umanità e lo fanno attraverso la tecnologia Blockchain.
Non sono solo le transazioni finanziarie a rischiare la sostituzione, ma qualsiasi tipo di registro informativo.
Ma i bitcoin non sono solo l’ennesima moneta elettronica, rappresentano una piattaforma tecnologica abilitante con incentivi economici tali da permettere ad utenti che hanno bisogno di raggiungere un accordo tra loro di appoggiarsi ad una rete decentralizzata di certificatori computazionali.
Il presupposto di Nakamoto è: “una CPU un voto”.
Le transazioni sono verificate dai nodi: ci possono essere nodi disonesti i quali inseriscono transazioni errate, ma questi nodi vengono bannati per fare rimanere la rete “onesta”.
Il consenso raggiunto con questo criterio è meno sabotabile rispetto alle modalità precedenti ai Bitcoin e rende questo sistema trasparente evitando il problema del double spending.
L’unico attacco possibile alla rete bitcoin è il “51% attack”: fa riferimento ad un attacco in una blockchain effettuato da un gruppo di Miners che controllano più del 50% del network’s mining hash rate.
Gli aggressori sarebbero in grado di impedire che nuove transazioni ottengano conferme, consentendo loro di bloccare i pagamenti tra alcuni o tutti gli utenti. Sarebbero anche in grado di invertire le transazioni che sono state completate mentre avevano il controllo della rete, il che significa che potrebbero spendere due volte le monete.
Quasi certamente non sarebbero in grado di creare nuove monete o alterare vecchi blocchi e, probabilmente, un attacco del 51% non distruggerebbe completamente né i Bitcoin né nessun’altra valuta basata su blockchain, anche se si rivelerebbe altamente dannoso.
Ma come funziona la Blockchain?
Il significato letterale è: catena di blocchi.
Per farvela breve: la Blockchain è una sequenza temporale di informazioni a blocchi.
Tutto nasce dal blocco Genesis che potenzialmente contiene qualsiasi cosa (es. un blocco di transazioni), ogni blocco ha un “padre” e un “figlio” in modo che questi siano tutti collegati tra loro (avendo ogni blocco le informazioni del padre e una propria signature, si riesce in questo modo a risalire all’intera catena di informazioni).
La Blockchain sfrutta le caratteristiche di una rete informatica di nodi e consente di gestire e aggiornare, in modo univoco e sicuro, un registro contenente dati e informazioni in maniera aperta, condivisa e distribuita senza la necessità di un’entità centrale di controllo e verifica.